Le origini della scarpa
risalgono alla preistoria, quando l'uomo primitivo sentì la necessità
di proteggere le proprie estremità inferiori. Inizialmente utilizzò
una corteccia, delle foglie intrecciate o la pelle di un animale avvolta
attorno al piede e trattenuta da rudimentali lacci alla gamba, poi con
gli egiziani la calzatura si estese ad esigenze di praticità e
di estetica. Nata per difendere il piede e contemporaneamente lasciarlo
traspirare la calzatura egiziana fu sandalo, la cui forma essenziale è
rimasta pressochè inalterata nel tempo. I primi materiali utilizzati
furono fibre vegetali fresche e leggere, poi gli egiziani passarono alla
pelle; abili conciatori reallizzarono sandali di pelle colorata, spesso
ricamata e decorata con lamine d'oro.
I Sumeri, sottoposti a clima piovoso,
tre milleni prima di Cristo adottarono le prime scarpe chiuse, poi elaborate
e sviluppate da Assiri, Babilonesi, Persiani e che sono giunte sino a
noi senza grosse variazioni nelle loro caratteristiche fondamentali; basse,
con tomaia che non supera il malleolo o veri e propri stivali che arrivano
alla coscia.
Gli artigiani Assiri erano maestri
nell'arte conciaria e confezionavano ricchissime calzature di pelle morbidissima
per i dignitari. Ma il simbolo del rango era dato dal colore della pelle
tenue e delicato per i nobili rosso e giallo per la classe media.
I Persiani preferivano il colore azzurro
e giallo con forme slanciate, mentre per dare maggiore slancio alla figura
in posizione eretta, scoprirono il trucco di inserire nel calzare, in
corrispondenza del tallone, strati di sughero cuneiformi.
In Grecia la calzatura assunse tutte
le forme base che poi sono giunte fino ai giorni nostri; benchè
fossero in pochi e per poche ore al giorno i fortunati che potevano usare
le calzature i Greci curavano il benessere dei piedi con particolare
attenzione e produssero una notevole varietà di modelli adatti
a tutte le esigenze. I modelli principali erano il sandalo, in legno o
sughero, la crepida, con suola alta e tomaia aperta, l'embas, stivaletto
a mezza gamba allacciato, l'embates, stivale di cuoio o stoffa per i cavalieri,
l'endromis, stivaletto per la caccia ed il viaggio, ed il coturno, calzatura
chiusa a suola molto alta. E' possibile ricostruire la presenza della
calzatura anche dalla mitologia, dove viene largamente citata, come anche
dalle storie popolari e da alcune superstizioni tramandate fino a noi.
Il Dio greco Mercurio calzava sandali alati, famoso e apprezzato da grandi
e piccini il furbo Gatto con gli stivali, la ever green favola di Cenerentola
la cui scarpetta di cristallo ha fatto sognare tutti noi oppure, per i
più superstiziosi, la tradizione di appendere un modellino di stivale
nel retro della macchina dei giovani sposi come augurio e portafortuna.
Grandi maestri "calzolai" furono senza
dubbio i Romani, i cui sandali sono tuttora oggetto di ispirazione da
parte di stilisti della moda e degli accessori. Tra i numerosi modelli
ricordiamo il sandalo "caligae", robusto e resistente all'uso particolarmente
adatto nelle battaglie e operazioni militari. Di forma piatta, era costituito
da tre o quattro strati di pelli bovine rigide e conciate al vegetale,
sagomate a forma di piede, ed era allacciato intorno al piede e alla caviglia.
Dopo la caduta dell'Impero Romano, nessun esercito utilizzò questa calzatura
così robusta e durevole, e per oltre mille anni i soldati generalmente
calzavano scarpe civili.
Verso l'undicesimo secolo iniziò la
moda degli stivaletti di cuoio per uso generale, che coprivano il piede
superando di poco l'altezza della caviglia. Gli stivali, di lunghezza
variabile, proprio in quel periodo fecero la loro prima apparizione ma
la grande diffusione avvenne nel sedicesimo secolo. Erano del tutto
privi di tacco.
Gli stivali lunghi veri e propri,
portati da supporto e protezione della gamba e caviglia, trionfarono intorno
alla metà del Settecento, quando i comandanti di truppe incominciarono
a preoccuparsi delle condizioni di salute dei piedi dei loro soldati.
Ha inizio l'era della calzatura militare moderna. Le calzature non sono
sempre state impiegate a scopo puramente funzionale ma spesso hanno seguito
i suggerimenti della moda arrivando a curiosi modelli talvolta pericolosi
per la deambulazione e per la salute del piede. Le calzature appuntite
e, ridicole per noi, utilizzate nel periodo medievale rendevano impossibili
i movimenti a causa delle punte sempre più lunghe e assottigliate.
La calzatura piatta a becco d'anatra, del XVI e del XVII secolo, era talmente
larga e piatta da rendere immobile chi la calzava. Un vizio che costava
caro soprattutto alle donne in stato di gravidanza (numerosi i casi di
aborto per caduta) o le dame di corte con frequenti e dolorose rotture
di caviglie
Mode smodate direbbero i più
severi, non limitate ai secoli passati. Basta pensare ai nostri ruggenti
anni Settanta quando la moda dettava improbabili impalcature che elevavano
la figura dal suolo di diversi centimetri grazie a suole costituite da
spessi strati conici. I tacchi quando nascono ?
Prima del 1600 non esisteva alcun
tipo di vero tacco in uso: verso la fine del 1500 vennero prodotti alcuni
piccoli tacchi di legno o di sughero mentre prima di questo periodo gli
spezzoni di sughero, a forma di piani inclinati, o di fogli di cuoio,
erano stati provati come tacco, però ebbero un successo molto limitato
poiché creavano grandi difficoltà di movimento.
All'apparizione del primo vero tacco
coincise la scomparsa di tutte le altre forme di pseudo tacco. La tecnica
del tacco infatti si è sviluppata continuamete fino a raggiungere
ottimi rapporti altezza equilibrio che caratterizzano la maggior parte
delle calzature da donna, particolarmente di moda, dei tempi attuali.
La tecnica di costruzione dei tacchi ha portato a realizzare tecniche
di fissaggio alla suola, utilizzando chiodature in legno o metallo su
suole divenute necessariamente più robuste indispensabili per sopportare
l'azione del piede elevato dai tacchi. Questa tecnica però determinò problemi
in relazione all'appaiamento delle calzature poiché, mentre le calzature
prodotte prima del XVII secolo distinguevano la destra dalla sinistra
già dai tempi dei Romani, dagli inizi del XVIII secolo fino al
1820 circa si tendeva a produrre scarpe lineari intercambiabili, da essere
portate indistintamente sul piede destro o sinistro. E le forme come venivano
realizzate? Per secoli le scarpe vennero realizzate du due tipi di forme
fondamentali: prima in metallo e successivamente in legno. La prima forma
metallica era all'incirca come il piede umano, forse di origine romana,
ed era usata a titolo d'incudine per fissare i grossi chiodi nel cuoio.
La seconda forma era costruita in legno e determinava la precisa dimensione
e modello della tomaia che poi serviva per realizzare la completezza della
cucitura della calzatura nel montaggio. Nessuna forma, invece, veniva
usata per la realizzazione delle calzature fascianti morbide che erano
in voga dai primi del medioevo fino al XVI secolo. L'accessorio forma-modello
divenne però essenziale per tenere assieme e permettere di formare la
scarpa con guardolo, durante la cucitura, dal XIV secolo in poi. Fino
agli inizi del secolo non esistevano grandi differenze, nello stile e
nella tipologia, tra le calzature da uomo e da donna: quest'ultima poi
cominciò gradualmente a divenire oggetto di studi attenti e realizzata
con maggiore cura stilistica.
Le forme lineari non modellate, essendo
di più facile realizzazione, rimasero di uso generale fino agli
anni Venti, quando nuovi sistemi di fresatura risolsero numerosi problemi
di realizzazione pratica delle forme.
Alcune calzature da donna lineari tuttavia hanno continuato ad essere
prodotte in forma lineare fino al 1850 circa, sostanzialmente con due
sole misure di larghezza: quella assottigliata, realizzata usando la forma
tale e quale, e quella larga realizzata sovrapponendo una tomaia preformata
intorno alla forma rimuovendola solo alla fine dell'assemblamento della
calzatura. Dunque la scarpa e la sua importanza è stata a lungo
ignorata al punto che bisognerà aspettare il XIX secolo per vedere
un fabbricante di Filadelfia vendere delle paia di scarpe dove i due piedi
sono distinti l'uno dall'altro. Gli anni Cinquanta e ancor più
gli anni Sessanta rappresentavano un ventennio particolrmente importante
per il trionfo della calzatura che diventa un vero e proprio gioiello.
Sinonimo del lusso, del boom economico tipico del dopoguerra, specchio
del cambiamento dei consumi la calzatura è sinonimo di moda, fashion,
effimero, e l'Italia si fa avanti. Tutti vogliono le scarpe italiane,
dive e divi di Hollywood faranno follie nelle loro richieste. Basta andare
a visitare a Firenze il Museo della calzatura Salvatore Ferragamo per
ammirare celebri scarpe, dal mondo aristocratico a quello dello spettacolo,
tra le quali quelle della mitica Marilyn Monroe. Inaugurato nel 1995 il
Museo fiorentino, ubicato al secondo piano di Palazzo Spini Feroni di
via Tornabuoni, espone in cinque sale una selezione rappresentativa delle
oltre 10.000 scarpe che costituiscono l'intera colezione, lasciata in
eredità da Salvatore Ferragamo e continuata dalla moglie e dai
figli. Adiacenti alle sale espositive troviamo il deposito dei modelli,
la biblioteca, l'archivio e la libreria. Il Museo è nato per iniziative
della famiglia Ferragamo, allo scopo di fare conoscere al pubblico di
tutto il mondo, agli studiosi e soppratutto ai giovani le qualità
artistiche di Ferragamo e il ruolo importante che ha ricoperto nella
storia della calzatura e della moda internazionale. Nel 1985 nacque l'idea
di organizzare a Palazzo Strozzi una mostra retrospettiva delle scarpe
di Salvatore Ferragamo. Dopo Firenze la mostra fu allestita al Victoria
and Albert Museum di Londra, nel 1987, e auccessivamente al Los Angeles
County Museum of Arts, nel 1992, riscuotendo ogni volta il consenso del
pubblico. Da qui maturò la decisione di trasformare una mostra
itinerante in un museo permanente, arricchito di una biblioteca specializzata
nella storia dell'azienda Ferragamo e della calzatura. Anche S.Elipidio
(Ascoli Piceno) vanta un Museo della calzatura a sottolineare l'importanza
di questo "prodotto" nella regione Marche. Originale la scelta di esporre
calzature di tutto il mondo, curiosa invece la sezione di scarpe di personaggi
famosi.
Poi l'attenzione si sposta sugli antichi
macchinari, sulle foto dei calzaturifici che hanno fatto la storia di
questo territorio, sui documenti in cui compaiono i primi slogan delle
imprese. A Vigevano, invece, possiamo visitare un museo della calzatura
frutto della cospicua donazione della famiglia Bartolini, inaugurato nel
1972. La raccolta comprende circa 300 pezzi che offrono un'inedita storia
della calzatura vista come elemento di costume, spaziando nei secoli e
nelle diverse civiltà. La rassegna è divisa in tre sezioni:
quella storica mostra scarpe fabbricate dal XV secolo sino ad oggi, comprese
quelle appartenute a personaggi noti (pianella di Beatrice d'Este 1490
ca.), e scarpe militari. La sezione etnografica riunisce calzaure in uso
presso i popoli della terra. Chiude la mostra la sezione delle curiosità.
Prossimo Museo della calzatura, in via di apertura, quello di San Mauro
Pascoli, il "paese dei calzolai".
Nella Torre di pascoliniana memoria
attraverso un itinerario tra storia e attualità sarà testimoniato
come un paese di ciabattini in pochi decenni è divenuto un polo
calzaturiero di caratura mondiale. Oggi poche sono le persone che considerano
la scarpa come un semplice strumento di protezione del piede, fondamentale
organo vitale che necessita di grande attenzione, rispetto e cura. Rinunciare
alla tentazione dell'acquisto di una calzatura è per molti un'impresa
impossibile: esistono veri e propri appassionati della scarpa, una sorta
di cultori dai profondi risvolti psicologici. "Dimmi che scarpa porti
che ti dirò chi sei" potrebbe essere il nuovo motto dell'era del consumismo.
Più numerose le donne ma appassionati anche gli uomini, frequente
il collezionismo di scarpe, forse calzate una sola volta oppure mai intaccate.
L'importante è averle, ammirarle, goderle, come accade al personaggio
interpretato dalla brava Margherita Buy nell'ultimo divertente film diretto
da Carlo Verdone "Ma che colpa abbiamo noi" che ironizza sui risvolti
psicotici e maniacali di un gruppo di persone in psicoterapia. E' facile
fare follie per l'acquisto di una scarpa o di uno stivale, la passione,
d'altronde, come per gli intenditori di vino o arte non pone limiti. Non
sarà dunque un caso se gli italiani, più di altre nazionionalità,
quando conoscono qualcuno prima gettano lo sguardo in basso per poi risalire
in alto. |